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IL PENSIERO FORTE
IL NOMOS DELLA TECNICA
di
Roberto Pecchioli
L’intervento al convegno.
Il pensiero forte prende posizione sui temi che riguardano vita e futuro di chi vive e veste panni. Uno è la tecnica. Nel presente vige un “nomos della tecnica”, un senso comune, una falsa credenza che situa i mezzi, le tecniche, al di sopra di ogni altro principio, celando i fini: la demolizione delle identità personali e comunitarie per ridurre gli uomini ad automi manipolabili.
Ezra Pound osservava che ogni tempo ha un’idea base, un nomos. Fu la teologia per il medioevo, l’arte per il Rinascimento, la ragione per il Settecento, l’economia per il secolo XX. Non possiamo comprendere la contemporaneità senza riflettere sulla tecnica, il mezzo che si è fatto sistema, l’alleanza tra le oligarchie del denaro e dell’industria, più i giganti di Silicon Valley, all’ombra della potenza politico militare degli Stati Uniti. La tecnica è diventata il fattore determinante della società. Né buona, né cattiva, ambivalente, si riproduce seguendo la propria logica. Calpesta la libertà, esaurisce le risorse naturali, uniforma le culture. La sua rivoluzione rappresenta il passaggio dal controllo dei popoli attraverso la leva economica – l’indebitamento- al dominio attraverso strumenti tecnologici. La Tecnica ha cambiato natura, diventando sistema attraverso l’informatica che ha unificato i sottosistemi, permettendole di trasformarsi in un tutto organizzato che modella, sfrutta, trasforma, pervade: un sistema cieco che si autogenera e non corregge i propri errori, se non quelli tecnici.
La trappola si chiude a seguito del grande sviluppo delle reti di comunicazione telematica e all’alba di una nuova rivoluzione, l’intelligenza artificiale. Tutto è interconnesso in una massa immensa di dati in grado di incrociarsi e generarne di nuovi, i metadati, il cui controllo e commercio innesca lotte tra giganti, sposta cifre enormi con in palio il controllo delle vite di miliardi di persone. La società è una Megamacchina di cui gli uomini sono gli ingranaggi, come intuì Charlie Chaplin in Tempi Moderni. Il grande assente è la libertà. Eppure, a condizione di consumare, lavorare, vivere in modo conforme alle direttive tecniche, l’uomo si sente libero, persuaso di avere aumentato a dismisura le sue possibilità.
Si tratta di una libertà artificiale, tanto che esige eroismo uscire dal cerchio della Tecnica posseduta dagli oscuri signori di Mordor. E’ in massima parte compiuto il passaggio di tutti i processi rilevanti dalla gestione politica e economica a quella tecnica. I mercati finanziari funzionano attraverso algoritmi, automatismi dal quale è rimosso l’intervento umano. Il futuro è nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e della cibernetica, nelle macchine in grado di sostituire l’uomo.
Abbiamo indicato il nemico. Non la tecnica, ma i suoi padroni e i loro fini. Il saggio guarda la luna, non il dito che la indica. Capire il nomos della tecnica è il passaggio per individuare i punti di frattura del potere. Noam Chomsky ha parlato, riferendosi alle cupole della finanza, della tecnologia e dell’industria transnazionale, di padroni dell’universo. Prima di lui, Jean Ziegler aveva definito privatizzazione del mondo i fenomeni di concentrazione di proprietà dopo il crollo del comunismo. La tecnica si è trasformata in strumento di dominazione e sorveglianza, sottratta al controllo degli Stati, ovvero della dimensione pubblica. Attraverso l’irruzione di nuove discipline, avanza un’estensione della Tecnica, il transumanesimo, raggelante ideologia distillata nei pensatoi delle oligarchie economiche e finanziarie, l’accelerazione dello sviluppo scientifico orientato alla trasformazione della specie umana attraverso la genetica, la cibernetica, le neuroscienze.
La tecnica esprime il rigetto per l’idea di limite su cui si è fondata la civiltà occidentale dal pensiero greco. “La volontà che si organizza con la tecnica fa violenza alla terra e la trascina all’esaustione, nell’usura e nelle trasformazioni dell’artificiale. L’uomo stesso diventa materiale umano”. (Heidegger) Cessiamo di essere persone, ci trasformiamo in cose, manufatti plastici da manipolare ed impiegare secondo piani prestabiliti. Siamo incatenati alla tecnica, pensiero che non pensa sia che l’accettiamo con entusiasmo, sia che la neghiamo con veemenza. Ma siamo ancora più in suo potere se la consideriamo neutrale; questa rappresentazione ci rende completamente ciechi di fronte alla sua essenza. Ciechi ed impotenti, non riusciamo a cogliere la non neutralità della tecnica e la sua natura di fine teso a un dominio planetario. Il nomos della tecnica non è compreso nel suo significato di desertificazione delle libertà, abolizione della dimensione morale, dell’intimità, rimodulazione delle personalità.
Tuttavia, l’uomo è l’essere “tecnico” per eccellenza. Arnold Gehlen1, fondatore dell’antropologia filosofica, definì l’uomo essere che prende posizione. Una specie priva di una condotta determinata dagli istinti, lacunosa, non specializzata. Max Scheler parlò di creatura aperta al mondo, plastica; Herder di essere carente. La specializzazione nostra è la cultura, la capacità di accumulo di conoscenze, la tendenza all’azione, la volontà di potenza. Attraverso tali caratteristiche, l’uomo si “esonera”.
L’esonero è la somma di prestazioni cognitive che moltiplicano le possibilità ed il padroneggiamento dell’esistenza. L’uomo è tanto più esonerato quanto più avanza la sua capacità di indagine. La novità è che siamo ad una svolta in cui l’umanità esonera se stessa e si affida a ciò che è altro da sé, le macchine da lei stessa costruite, sino alle ultime forme artificiali di vita “cosciente”, l’Altro assoluto. I pericoli sono immensi, e fanno temere l’irreversibilità del cammino verso l’uomo 2.0. Gli interessi in gioco, le conseguenze antropologiche ed esistenziali sono incalcolabili. Il futurologo Yuval Noah Harari immagina che sostituiremo la natura con l’intelligenza artificiale e la nuova religione si chiamerà dataismo, poiché il mondo è un gigantesco flusso di dati.
Il rischio è la regressione dell’umanità tecnicizzata. Lo psichiatra Vittorino Andreoli afferma che la connessione continua sta modificando mente e cervello, che, “in virtù della sua plasticità, perde la razionalità e l’affettività, mettendo al loro posto una logica binaria dello yes or not e un sapere detenuto da pochi straricchi”. La nuova memoria è al litio, sta nell’immenso magazzino degli apparati tecnici. Non ricordiamo i numeri di telefono, non eseguiamo più operazioni matematiche, i giovani, abituati al linguaggio elementare e binario, non riescono a comprendere i testi che leggono ed ignorano il pensiero astratto. La regressione che Maurizio Blondet sintetizza nell’espressione selvaggi con telefonino raggiunge strati sempre più ampi della popolazione. La tecnica ci esonera da azioni e decisioni, dunque tende a eliminare il pensiero. Computer e smartphone ci rendono dipendenti, ma anche autistici.
Si affievoliscono le resistenze a subordinare le esigenze dell’apparato tecnico, ovvero dei suoi padroni, alla persona umana. Ancora Martin Heidegger: “La cosa di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è preparato a questo radicale mutamento di mondo. Più inquietante ancora che non siamo capaci, attraverso un pensiero meditante, ad un confronto adeguato con ciò che sta veramente emergendo “.
La tecnica è cieca, ma non neutrale. Il rischio è che le moderne tecniche di condizionamento non siano comprese nel loro significato di riduzione all’identico e rimodulazione della personalità individuale dentro il Panopticon, “ciò che vede tutto”, la costruzione dell’utilitarista Jeremy Bentham, carcere razionale radiocentrico con un unico sorvegliante non visto. L’invisibilità del guardiano è nota agli osservati, tenuti in uno stato di tensione permanente che induce a praticare la disciplina come se fossero sempre scrutati. La coazione a ripetere determina un unico modello di comportamento modificando indelebilmente il carattere.
La tecnica è nichilista, ha un unico scopo, funzionare. Non risolve, non redime, non offre scenari di salvezza. Dobbiamo quindi prendere posizione, non esonerarci, ritessere il filo e riconoscerne gli effetti, pur accettando i vantaggi pratici. C’è un tempo della natura ed un tempo della tecnica: misura ed equilibri vanno ristabiliti. Ne va della creatura uomo e del creato.
Una caratteristica della tecnica è il soluzionismo. Male, malattia, morte, non sono che problemi tecnici, a cui la tecnica fornirà, prima o poi, una soluzione. Una promessa accattivante che ci espropria, un passaggio di proprietà della nostra vita. Per risolvere tutto, cliccate qui. E l’aberrazione del soluzionismo tecnologico, con una domanda retorica fondamentale: perché dovremmo appoggiarci a leggi, Stati, o pubbliche istituzioni, quando abbiamo a disposizione dei sensori e dei circuiti di retroazione?
E’ un modello di governo, un perfetto programma politico. Ha un difetto: è concepito contro la persona umana e le libertà. Anziché governare le cause dei problemi, operazione che richiede coraggio, immaginazione, flessibilità mentale, si limita a controllare gli effetti. La dolce droga per schiavi che Aldous Huxley chiamò soma. Un banditore della nuova ideologia è Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook, il cui manifesto, Costruire la comunità globale, è un’inquietante distopia universalista destinata a realizzarsi se milioni di persone non ne comprenderanno il potenziale antiumano. E’ l’atto di fondazione della falsa repubblica digitale, in realtà un impero con al vertice la cupola di coloro che possiedono le conoscenze tecnologiche, indirizzano la ricerca scientifica, controllano il denaro, la comunicazione e, detenendo tutti i mezzi, determinano tutti i fini.
L’ideologia che sorregge il progetto è un libertarismo estremo, sia nel campo economico sociale sia nell’ambito dei “nuovi diritti”. Lo scopo è forgiare un’umanità che nasce, vive e muore sotto la regia del Grande Fratello tecnologico. Basta con il potere degli Stati, dei popoli e delle nazioni. Polverizzate le comunità legate a prossimità e condivisione, superate anche le società fondate sul contratto e l’interesse. Iperindividualista, rinchiuso nel guscio della connessione, del consumo compulsivo e nella serialità profilata – il gusto di massa declinato in senso fittiziamente soggettivo – l’uomo nuovo è un tronco intagliato da una macchina industriale, alla deriva in un mare in cui è un detrito.
Carl Schmitt: “è in azione una macchina psicotecnica della suggestione di massa che lavora con le parole e con i significati e ri-forma un’umanità plastica. “. L’uomo, derubricato a materiale umano viene spostato da uno spazio di luoghi ad uno di flussi, informazioni controllate, dati catalogati e collegati in una ragnatela che avvolge individui privi di punti di riferimento, spettatori paganti e plaudenti, acquirenti. Il fine è un potere convertito in dominio attraverso lo strumento tecnico.
Si è formato con la tecnica un rapporto coatto che costringe ad una lingua unica, neutra, depotenziata, ed a procedure che esentano dal ragionamento e dalla sperimentazione. Per farci accettare il controllo sociale, ci drogano di libertà astratta. Inquieta la possibilità di impiantare chip sottocutanei con tutti i nostri dati. Dati, sempre dati: siamo l’esito di un modello matematico… per il nostro bene, per la nostra salute. Ci siamo abituati, e diamo il consenso- quando ce lo chiedono - a forme sempre nuove di controllo. Le visite a siti e reti sociali vengono annotate ed incrociate, anche le tessere dei supermercati parlano di noi.
La vita diventa un metadato frutto dell’aggregazione del nostro traffico telefonico ed elettronico, la navigazione in rete, l’uso delle carte con microchip. I padroni sono i GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) oltre a Microsoft, all’ ombra degli apparati riservati di informazione. La raccolta dei metadati permette la profilazione, cioè la ricostruzione completa delle nostre esistenze, e impone una nuova identità, l’identità digitale. Siamo una sequenza matematica che conserva e rielabora l’insieme delle informazioni esistenti su di noi. L’identità digitale contiene il nostro profilo, l’interazione tra i vari database in cui, volenti o meno, consapevoli o no, siamo presenti.
L’identificazione implica un rapporto di subordinazione a potentati privati, da millenni riservato alla sfera pubblica. Inoltre, l’identità personale è un costrutto culturale e sociale, ora rovesciato in un rapporto di dipendenza. Mille volte al dì, la chiamano democrazia!
Il sistema di intrattenimento e la televisione completano l’opera di ricostruzione di esseri trasformati in recettori passivi di mille canali diversamente uguali per taglio, scelta delle notizie, immagini violente o compiacenti, orientamento. A scandire i tempi, la pubblicità, madre e maestra, con tono, apparenza e linguaggio ora mellifluo, ora insinuante, basato sugli istinti più triviali. Per i devianti non connessi, la punizione è l’esclusione: dal riconoscimento sociale, dal dibattito culturale, dal mercato. E’ totalitarismo.
Avanza un’ossessione per la sicurezza che è paura dell’altro. Lo aveva capito José Ortega y Gasset: nell’era delle masse la società si frantuma in miriadi di gruppi reciprocamente ostili. Se mille occhi elettronici ci osservano, i nostri comportamenti cambiano, prima consapevolmente, poi inavvertitamente. Diventiamo come ci vuole il potere: disciplinati, autocensurati, conformi alle mode, automi dalle condotte programmate.
“Più i database registrano, meno esistiamo “, parola di Marshall Mc Luhan. Il potere interconnesso ci possiede. Crea dal nulla il denaro, ma contemporaneamente ce lo toglie dalle mani con la moneta elettronica, imposta per controllare la vita degli ex cittadini. Beni e servizi acquistabili solo con carte di credito, ogni movimentazione individuata, tracciata, luogo e ora dell’acquisto. In più, i padroni del denaro mantengono il possesso della loro creatura dematerializzandola e sottraendocela. Chi perde il lavoro non potrà ricaricare le carte, quindi non potrà andare dal macellaio. Alternative? Un prestito a usura, diventare debitori a vita, ipotecare i beni reali. Schiavitù. La moneta elettronica è una vittoria delle oligarchie sulle moltitudini schiavizzate: meno contante, meno contate, avverte un efficace slogan. Il nuovo paria, il deviante postmoderno è chi non può finanziare o possedere una carta di credito, o colui al quale verrà ritirata, per un ritardo, disoccupazione, ostracismo politico.
Esclusione, morte civile. Totalitarismo per espulsione, disconnessione coatta. L’ inferno tecnicamente corretto. Il controllo attraverso tecnologie informatiche ed elettroniche ci lascia nudi dinanzi ad un immenso telescopio. L’interazione tra sorveglianza ed incrocio di innumerevoli banche dati ha introdotto il concetto di data-veglianza, sorveglianza attraverso i dati. Siamo una sequenza di codici binari in viaggio tra server interconnessi.
Il nemico è lo Stato nazionale, la polis. Secondo Zuckerberg, le tecnologie informatiche liberano l’individuo in quanto si decentralizza il potere e si tessono nuovi legami. E’ il contrario, il potere sta all’apice della piramide di chi paga, possiede e gestisce le reti. Gli intellettuali asserviti diffondono giustificazioni economiche e filosofiche. L’economista Patri Friedman, nipote di Milton, teorizza che gli Stati impediscono il progresso, per cui si rende necessario superarli, a partire dai sistemi fiscali e dalla sovranità territoriale. Friedman propugna una sorta di secessione del mondo fin-tech, attraverso la fondazione di città stato in mare aperto. Il progetto non è la stramberia di un eccentrico, ha raccolto milioni tra personaggi come Peter Thiel, fondatore di Paypal, il sistema di pagamento online.
L’uomo diventa antiquato. Lo intuì Guenther Anders dinanzi al potere della televisione. Siamo al redde rationem. L’uomo non è ancora superfluo, in quanto oggetto di manipolazione e sfruttamento, ma si avvia a diventarlo, mano a mano che si sviluppano la robotica e l’intelligenza artificiale. Superflua è l’esistenza dell’uomo libero. Intanto, l’illusione si fa realtà, la virtualità prevale sui fatti, l’ologramma sostituisce l’esistenza concreta.
Una rappresentazione simile al mito della caverna di Platone. Per gli uomini incatenati le ombre delle cose sono la realtà. Quei prigionieri siamo noi, e i più sono soddisfatti della loro condizione. L’uomo baratta volentieri la libertà con la comodità, la maggioranza non ha interesse per il pensiero critico, si accontenta, sollecita le visioni precostituite. La realtà digitalizzata che ci viene imposta non è che una rappresentazione, un ologramma. Svanisce la nozione di autenticità, la meraviglia sempre nuova di ogni essere umano. Un’alienazione superiore al feticismo della merce e ai rapporti di produzione.
In Francia prevedono l’istituzione di un diritto degli algoritmi. Sale il pericolo che l’uomo “connesso” sia imprigionato in un imbuto. Chi controlla i sistemi informatici sceglie i nostri principi al posto nostro. Il cervello dell’uomo muta in presenza di sollecitazioni potenti ed univoche come quelle del sistema tecnico. Siamo ancora uomini, animali sociali? Ciascuno è rinchiuso in sé, nella bolla individuale profilata. Le reti sociali ci pongono in contatto con persone simili a noi, Amazon propone l’acquisto di oggetti analoghi a quelli già visionati o comprati.
Si vive in un circolo chiuso, aria viziata di una stanza le cui finestre non vengono mai aperte. L’uomo si alimenta di dibattito, conflitto, differenza. Tutto ciò spiace alla caverna tecnica, che leviga, previene, sceglie, prevede, e conduce come l’Omino di Burro nel Paese dei Balocchi, dove si gioca e non si vive, tanto decidono tutto loro a nostre spese. In Giappone chiamano hikikomori, i rinchiusi, le persone rinserrate in casa collegate al computer. Ma il contatto fisico è nutrimento indispensabile per l’uomo, non l’immagine, non il solipsismo dei caschi per l’illusione tridimensionale e le cuffie dello smartphone. Gli apparecchi multifunzionali diventano protesi indispensabili, prolungamenti tecnici di noi. In futuro vivremo in simbiosi con nuovi straordinari apparati; lo garantisce la cibernetica: dall’umano al transumano. L’uomo non è antiquato, è superato.
Scoraggiano l’uso di denaro contante con la scusa del contrasto alla criminalità. Ci lasciano senza portafogli, con effetti psicologici profondi: homo sine pecunia imago mortis. Paypal studia una pillola che eviterà di conservare le password di accesso. La soluzione è il circuito stampato, il tatuaggio elettronico in grado di monitorare dati corporei, aprire i cancelli e simili prodigi: l’alienazione dell’Apocalisse, portare sul corpo il marchio della Bestia.
Vedono e sanno tutto. Possiedono l’anello di Gige che rende invisibili e permette di vedere senza essere visti. L’anello debole siamo noi, il fastidioso fattore umano. Per questo ci seguono ad uno ad uno; se due utenti svolgono la stessa ricerca su Google, i risultati sono diversi. Un impeccabile profilazione. Anche la cittadinanza è un fossile, un reperto del passato, la persona è sostituita dal consumatore fornitore di dati.
L’anello di Gige funziona anche per nascondere i profitti. Enorme è l’evasione fiscale dei giganti della tecnica attraverso una girandola di sedi legali e caroselli di società collegate. Facebook ha pagato in Francia 319 mila euro di imposte a fronte di 260 milioni di euro di ricavi. Jeff Bezos di Amazon, dichiara i suoi introiti europei in Lussemburgo, un paradiso fiscale, il porto sicuro di Clairstream ed Eurostream, le società di clearing, la compensazione delle attività economiche e finanziarie che inghiottono, digeriscono e sbiancano i patrimoni più sporchi del mondo. Non è difficile immaginare chi gestisca gli apparati informatici delle due società e la mole di dati crittografati.
Google è snodo e terminale del controllo telematico. Il suo nome è già un programma, richiama la potenza inesprimibile dell’infinito. Googol è il numero formato da 1 con 100 zeri, 10 alla centesima potenza. Apple dispone di capitali liquidi per 215 miliardi di dollari, nascosti nei paradisi fiscali con il consenso del governo USA. La sua capitalizzazione è la più elevata della storia. La Mela ammise già nel 2008 di poter controllare a distanza gli i-phone. Microsoft ha una posizione di monopolio nei sistemi operativi dei computer. I dati degli utenti sono nella disponibilità della NSA. Windows raccoglie informazioni sul nostro conto: li forniamo noi stessi. Difficile che disattiviamo le opzioni offerte all’installazione, raro che neghiamo il permesso di usare il nostro identificativo. Il Bilderberg Group ha centrato i suoi ultimi incontri sulle tecniche di controllo della popolazione.
L’impatto devastante del pensiero tecnico ha colonizzato scuole ed università, dove non si insegna la cultura, ma ci si limita a fabbricare esemplari di serie, adatti all’economia digitale, consumatori acritici. Il fine del progetto è imprigionare l’umanità nell’universo utilitaristico e manipolabile della quantità. Costruiscono un presente perpetuo che ingabbia il tempo, recidono i fili, solo puntini.
Da ciò, il disinteresse nichilista per chi verrà dopo di noi (Che cosa hanno fatto per me i posteri? Groucho Marx e Woody Allen), tipico di una civilizzazione alla deriva, zattera della Medusa che odia i padri ed ha orrore dei figli. Conta solo il “tempo reale”, l’attimo che connette al virtuale, l’Isola che non c’è. La memoria è abolita, ma disponibile in forma di “cloud”, l’ambiente virtuale che consente l’accesso a risorse su misura per l'utilizzo richiesto. Il mondo dei cloud non è un luogo fisico, ma un gruppo di apparati interconnessi – la nuvola- che gestisce servizi, esegue applicazioni ed archivia documenti. Il cervello umano è un computer obsoleto che ha bisogno di un processore più rapido e una memoria più estesa: il progetto del transumanesimo e dell’intelligenza artificiale.
Nel 2016 l’app Pokémon Go scatenò milioni di giocatori alla ricerca dei mostricciattoli della Nintendo. Il titolo azionario raddoppiò di valore in due settimane. Il programma era di una società legata a Google e al fondo In-Q-Tel emanazione dei servizi Usa. Forse i milioni di decerebrati che sbucavano dappertutto per cercare i Pokémon hanno lavorato per mappare angoli del pianeta ed ambienti che sarebbero sfuggiti all’ occhio dei satelliti. Un raggelante esempio di “realtà aumentata”, interazione e commistione tra reale e virtuale. Alcuni utenti sono morti, tanto concentrati sullo schermo da non notare i pericoli dell’antiquata realtà, dopo aver pagato fior di quattrini per il software: il nomos della tecnica ci manipola come bambini.
Nel deserto affettivo svuotato dell’etica vince una solitudine curata con la quantità, il cui simbolo è l’amicizia di Facebook. Un surrogato di felicità in cui predomina l’assenza di spigoli, la mancanza di orizzonte. Importante è che non ci fermi a riflettere, a porre domande di senso. La memoria può essere esternalizzata, trasferita in un cloud. Ma fuori da me stesso, sarà ancora la mia memoria, la mia vita? Viviamo nella società dell’amnesia, liberata dal “prima”.
Il sistema tecnico sostiene che gli ostacoli al benessere sono il conflitto e la rivolta. Ma la democrazia, feticcio dell’Occidente, è conflitto. No, vige una gaia amnesia, in un cloud c’è la soluzione; la formula, il dato ricercato stanno da qualche parte, ma smarriamo la capacità di trattenere, ricordare, elaborare con il nostro cervello dalle insufficienti sinapsi carente di neuroni. Perdiamo il desiderio di ribellarci perché non conosciamo altro panorama, non immaginiamo neppure che ne esista un altro. Viviamo nella Terra Desolata senza considerarla tale per assenza di alternative e sovrabbondanza di immagini.
I primi filosofi si interrogarono sull’arkè, l’origine delle cose. Anassagora sostenne che si conosce per dissimiglianza, Empedocle per identità. Nella terra desolata del pensiero spezzato, ogni conoscenza è a disposizione. In un file nella Nuvola, moderno albero del bene e del male, mi connetto, e, dopo la parola chiave e l’addebito su Paypal, il motore di ricerca offrirà innumerevoli soluzioni, tra le quali sceglierò quelle della prima pagina. Una conoscenza che non diventa sapere, usa e getta, predisposta dalla Grande Madre. La sua origine ed il suo statuto risiedono nella sequenza binaria di 0 e 1, in uno sterminato database dislocato in un Altrove virtuale, dove tutto è a portata di clic. Senza sforzo, con espulsione dell’inquietudine.
Il baule di Fernando Pessoa, contenitore di una vita, non è possibile né pensabile. Nessun algoritmo o software può dipingere l’affresco di Raffaello La scuola di Atene, compendio della cultura che ci ha prodotto. Non per difetto di funzionamento, ma perché la tecnica (ancora) resta pensiero che non pensa. Il resto è silenzio per indifferenza, dispersione, o soffio disanimato. L’uomo della caverna tecnologica ignora l’esistenza del mondo di là dell’ingresso, rifiuta la libertà come gli animali nati in cattività. In nome della sicurezza, della comodità e di quanto gli viene fatto credere, accetta i microchip nel corpo, il controllo mentale, l’irrilevanza sociale, la rapina del denaro dalle sue tasche. Non ci sono alternative, lo dicono e ripetono i media. Perché non crederci, è tanto comodo. Schiavo perfetto perché si crede libero, animale soddisfatto dopo il pasto.
La persona digitale dematerializzata coincide con le informazioni che la riguardano, che altri scelgono di selezionare e rivelare. Un incubo è la tecnologia di identificazione a distanza mediante radiofrequenze. Prima o poi ci impianteranno i microchip, una marchiatura già obbligatoria per gli animali domestici. Saremo noi stessi a richiederla, convinti che quell’ impianto ci salverà. Può darsi, mezzi cattivi possono servire buoni fini, ma intanto la lettera scarlatta postmoderna ci potrebbe essere imposta per trovare o mantenere un lavoro. La Fincantieri voleva inserire un chip nelle scarpe di tecnici ed operai; la Obi ha tentato di imporre un bracciale vibrante per monitorare i tempi di risposta ai clienti.
In un’azienda svedese è stato proposto un chip che permette l’apertura delle porte e dei cancelli, l’uso dell’ascensore e delle fotocopiatrici, programmato per sbloccare ogni dispositivo, dagli smartphone alle biciclette equipaggiate con minicomputer. L’Unione Europea ha varato un regolamento, ma ha lasciato ai singoli Stati di prevedere deroghe con il consenso dell’interessato. Non è difficile immaginare chi sia più forte tra un datore di lavoro ed un disoccupato, tra chi vincola l’impianto di microchip alla stipula di un’assicurazione o una prestazione sanitaria e il richiedente.
Un programma coinvolgerebbe Google ed Apple per sviluppare con la NSA una specie di mappa cerebrale. La scommessa è tradurre in pensieri l’attività nell’area cerebrale che presiede al linguaggio; l’attività della corteccia preposta alla visione potrà essere mostrata su uno schermo. Un monitoraggio neuronale a distanza invierà messaggi ed ordini subliminali, alterando l’umore ed il controllo motorio. Il significato di libertà, autonomia personale, privatezza è frantumato, ma il bimbo in cui ci hanno trasformati non batte ciglio, applaude convinto di godere di “nuove opportunità” e di vivere non nel migliore dei mondi possibili, il che richiede un giudizio comparativo, ma nell’unico, il Definitivo.
Ozioso chiedersi chi controllerà le informazioni raccolte. Noi non saremo più padroni del nostro corpo, vivisezionato virtualmente dalle tecnoscienze e siamo già espropriati dello spirito, neutralizzato dal circo del consumo e delle immagini. L’anima non esiste, era un imbroglio dei preti, tutto è permesso, fuorché essere padroni di se stessi.
Le informazioni cui accedono quotidianamente gli utenti di Internet potrebbero riempire 170 milioni di DVD. I motori di ricerca conservano e compravendono i dati relativi. La NSA li archivia per decenni. E’ la nuova eternità, in attesa di quella cibernetica promessa dal transumanesimo. C’è chi vende programmi di intrusione, apprezzati dallo spionaggio commerciale e da chi tiene d’occhio i dissidenti. La mole di informazioni ha richiesto una specifica unità di misura, lo zettabyte, un miliardo di Terabyte, corrispondente a 2 byte alla quarantesima potenza. Senza parole.
L’intelligenza artificiale è un progetto delle multinazionali tecnoscientifiche insieme con l’élite finanziaria e le strutture profonde dell’Intelligence occidentale. Le nuvole informatiche controlleranno e riverseranno nel reale i programmi di una mente alveare formata da un’integrazione transpersonale e tecnoculturale, la cloud society, ma che sarà della coscienza individuale, della persona irripetibile e preziosa di ciascuno di noi?
Aldous Huxley, autore del Nuovo Mondo, romanzo anticipatore con l’occhio dell’insider inserito nel ganglio più elevato del potere, parlò di rivoluzione definitiva, esponendo le tesi del transumanesimo. Per Huxley il traguardo finale è intervenire sulla mente ed il corpo dell’uomo. Gli sviluppi tecnologici, spiegò, “permetteranno di far sì che la gente comune ami la propria sottomissione.” Previde un profilo uniforme per tutta l’umanità, con modelli riprodotti in massa e incasellati. La strategia è quella della comodità e piacevolezza delle innovazioni per l’uomo medio, così seduttive che gli faranno accettare ciò che in condizioni normali avrebbe rifiutato.
Le sue non erano profezie, ma informazioni di un iniziato. Basta libero arbitrio, un microchip cerebrale risolverà tutto, la genetica riscriverà il profilo delle razze e le caratteristiche della specie. Mefistofele domandò molto meno a Faust, solo l’anima, un concetto poco frequentato; inoltre, chiese, non pretese. L’ingresso nella mente alveare potrebbe invece essere un obbligo non eludibile. Techne fa il lavoro di Dio meglio del creatore.
Serve uno sforzo intellettuale per fornire la cassetta degli attrezzi, un manuale d’uso con indicazioni e controindicazioni, qualche antidoto alla pozione che ci viene somministrata senza possibilità di scelta. Giordano Bruno ammonì così dagli effetti della conoscenza: “Se questa scienza che grandi vantaggi porterà all’uomo non servirà all’uomo per comprendere se stesso, finirà per rigirarsi contro di lui “.
Le tecnoscienze sembrano la concretizzazione del Golem, mitico essere antropomorfo di argilla a cui viene data la vita attraverso riti esoterici. Come un robot privo di pensiero e di emozione, esegue gli ordini del suo creatore. Sulla fronte è scritta la parola emet, verità; per distruggerlo, si cancella la prima lettera; met significa morte. Il creatore è il tecnocapitalismo, che controlla e domina, possiede la tecnologia e ne decide gli usi, una forza inesorabile che avanza e distrugge ciò che trova sul proprio cammino.
Emanuele Severino afferma che tutte le verità sono sconfitte dalla tecnica, l’unica possibilità è realizzare “tecnicamente” tutto quanto è fattibile. I greci fondarono la civiltà sul concetto di limite, contrapposto alla hybris, la rivolta dell’uomo contro il volere divino, sulla prudenza e il principio di non contraddizione. Una filosofia che si alleasse con la tecnica commetterebbe un tragico errore. La tecnica deve solo funzionare, è estranea al giudizio, scopo del pensiero speculativo.
La conoscenza umana altro non diverrebbe che la copertura della legge di Gabor. Il fisico ungherese affermò che tutto ciò che si può realizzare “tecnicamente”, si farà, tutte le combinazioni saranno tentate. Il pensiero forte richiama l’uomo al dovere del giudizio morale, accettare o rigettare l’avanzata della tecnica in base al criterio di bene e di male. E’ imperativa la richiesta della tecnica di essere giudice di se stessa, anzi abrogare il giudizio: diventa realtà tutto ciò che è “tecnicamente” fattibile. E’ abolito il criterio etico, ma anche l’opportunità e il principio di cautela. La macchina avanza da sé, unico limite è il vantaggio economico, la capacità di alimentare il mercato, nessun tabù frena il nomos della tecnica. Il senso del sacro è espulso. Il tempio è sacro perché non è in vendita, ma mercato e tecnica hanno stretto un’alleanza per il dominio assoluto sul creato, con l’uomo ridotto a codice a barre.
L’esito è l’abolizione del pensiero moralmente orientato. Il Signore paga la ricerca elettronica, genetica, cibernetica, chiede applicazioni sempre nuove. La filosofia, coscienza critica rassegnata all’estinzione, si limita a sterili giochi linguistici, finendo per fornire la giustificazione all’avanzata della Tecnica.
Il pensiero forte ha il compito di essere “katechon”, ciò che frena, sottopone a giudizio, pone i padroni della Tecnica di fronte alle loro responsabilità. La volontà di potenza fondata sulla Tecnica priva la ragione dello sfondo morale. Questa sarebbe “la coerenza estrema dell’Occidente”, un superstato retto da una governance scelta dagli iperpadroni. Chi paga i suonatori decide la musica. Nessun potere è tecnico, ma sempre politico poiché determina rapporti di forza della polis. Il dominio tecnico è morte del pensiero.
Si deve proclamare l’inganno del potere globalitario che riduce tutto a procedura, avendo asserito il proprio carattere di legge naturale, proclamato la propria eternità e l’assenza di alternative. Un totalitarismo singolare, le cui sbarre non sono meno ferree per il fatto di risultare poco visibili. La riduzione di tutto a tecnica è responsabile del tramonto della politica. La tecnica è un mezzo. I mezzi servono a scopi, il rapporto invertito tra i meccanismi e gli obiettivi è una menzogna ad uso di chi decide i fini, la cupola finanziaria ed industriale che ha privatizzato scienza e ricerca.
La tecnica è impersonale, non si può mettere ai voti, né essere oggetto di dissenso. Il trucco è far coincidere il sapere tecnico con il pensare tecnico. Ci viene insegnato che per conseguire un risultato, si deve segue un percorso scandito da certi gesti e solo da quelli, poiché, in caso contrario, non funziona. E’ la concretizzazione del “si” di Heidegger: si fa, si dice, si deve. La notte del mondo è non sapere più che non si pensa. Al Signore va bene così: la tecnica è un cruscotto fabbricato per suo conto, un quadro di strumenti da azionare secondo il libretto di istruzioni. Ai vari livelli corrispondono differenti profili di accesso: la stragrande maggioranza può solo pigiare i pulsanti della tastiera, lo schermo suggerirà in anticipo che cosa digitare. Qualcuno potrà accedere a comandi più sofisticati, pochissimi conosceranno quello che c’è dentro, le leggi che lo governano, perché esiste. La tecnica ignora l’eticità, la trascendenza e l’alterità. “E”, sta, incombe, e ogni domanda o obiezione è sconsigliata, superflua e indegna di risposta.
Sappiamo chi ha commissionato il libretto delle istruzioni. Il destinatario non è l’uomo senza qualità alla Musil, ma il Peter Pan che rifiuta di diventare adulto, connesso in attesa delle novità, affascinato dalla nuova macchinina. La tecnica vuole miliardi di soldatini intercambiabili per digitare pulsanti e padroneggiare una tastiera, migranti del virtuale, una plebe con desideri compulsivi, da accontentare con risposte predefinite alle FAQ, le domande suggerite. Un’umanità che confonde la mappa con il territorio e non squarcia il velo di Maya. Ciò che conta è che la tecnica esiste, dunque è utile e razionale.
L’impersonalità della tecnica è il contrario dell’impersonalità attiva di Evola, la fortezza morale dell’uomo differenziato. Tocqueville intuì il “potere immenso e tutelare” di un mondo ridotto a procedure, meccanismi e false libertà, impegnato a mantenere i sudditi nell’immaturità permanente, nel gioco infantile. Attraverso la tecnica, il Signore tecnocapitalista ha portato a compimento il suo capolavoro, l’uomo senza dissenso, privo di interiorità, senza profondità, senza Dio, orfano di padri e principi, milioni di hardware identici con etichetta del prezzo.
Gramsci parlò della riduzione degli uomini a gorilla ammaestrati che hanno introiettato le regole tecniche come uniche e vincolanti. L’esito è “libertà è schiavitù”, nella neolingua di Orwell. La Tecnica è il sistema operativo del capitalismo globalitario con una dogmatica e una visione del mondo, il nomos a cui è proibito sfuggire, pena la stigmatizzazione e l’esclusione dallo spazio pubblico, è l’abolizione di ogni limite, il divieto del giudizio morale mascherato da autonomia, conquista di civiltà. Non ci si può aspettare un dibattito: da un lato, la potenza devastante di chi ha tutto, dall’altro molti uomini, ma isolati, il cui dissenso non viene neppure registrato.
Come può contare la cosiddetta opinione pubblica in un mondo dove le notizie sono filtrate da cinque- sei agenzie di stampa, possedute da gruppi che controllano il sistema mediatico e pubblicitario? E’ forte la tentazione di rispondere sì alla domanda se il destino dell’umanità sia segnato dal controllo mentale, sociale e morale dell’impero tecnico.
Invece no. Gli uomini persuasi di essere nel giusto non hanno bisogno del successo per perseverare nella lotta. Scrive Jean Raspail, “quando si rappresenta una causa (quasi) perduta, bisogna suonare la tromba, saltare sul cavallo e tentare l’ultima sortita senza la quale si muore di triste vecchiaia in fondo ad una fortezza che nessuno assedia perché la vita se ne è andata. “
La prima autodifesa dal tecnoinferno travestito da opportunità è non credere alle versioni ufficiali. Finché ce lo lasciano, il cervello è nostro. Facciamolo funzionare accettando la fatica di raccogliere informazioni, produrre idee e visioni alternative. In attesa della stretta contro la libertà delle Rete, Internet resta una grande speranza. Se si inquietano per le notizie che circolano è segno che resistono tracce di libertà e verità. Mobilitano frotte di “debunker” per smontare le versioni sgradite al potere: significa che il dissenso colpisce il bersaglio.
Lavorano per separare l’essere umano da se stesso e controllarlo senza apparente costrizione fisica. Qualche anno di vita in più, maggiore prevedibilità delle nostre esistenze: questo offre Techne in nome dell’avidità e della dismisura.
Le meraviglie della scienza e della tecnica, come Circe, promettono agli Ulisse del futuro, giovinezza, salute, un domani senza paura, privo di rischi, oltre l’umano. Tutto previsto nell’ algoritmo definitivo. In cambio di promesse, pretendono tutto. Senza lavoro - lo svolgeranno i robot – indifferenti alla dignità, vivremo di sussidi registrati con tecnica precisione su un microchip impiantato nel corpo, da spendere in consumi obbligatori. Il flusso di immagini virtuali diverrà la droga di cui saremo dipendenti, distratti dalla condizione di prigionieri in un Panopticon di nanotecnologie, robot androidi, computer e connessione perpetua. La realtà aumentata più l’intelligenza artificiale meno noi stessi.
La vita privata è un’anomalia. Presto, diverrà un reato pensare e pronunciare dei no. Sarà drammatico il consenso della maggioranza alla schiavitù. La scommessa è il ritorno ad Itaca. Ulisse, prigioniero degli incantesimi di Circe, infine capì, volle tornare uomo e volgere la prua alla sua isola, il luogo dell’anima dove è dolce vivere ed essere sepolti alla fine del cammino.
L’ Itaca a cui fare ritorno è lo spirito, ma anche la dimensione comunitaria. E’ la politica, innanzitutto, lo spazio pubblico in cui si pensa, si litiga, si accetta il conflitto, ma si costruisce la vita partecipando, assumendo responsabilità. E’ lo Stato, l’unione di volontà che si danno una legge, entro la dimensione comune; è il recinto delle relazioni non economiche, vernacolari, con il lessico di Ivan Illich. Stato è sovranità, con norme, statuti e limiti che a nessuno è consentito oltrepassare, anche se si chiamano multinazionali, banche d’affari, giganti dell’economia digitale. Perfino se si tratta della scienza e della tecnica, che vanno sottoposte al tribunale dell’etica, della prudenza e della misura.
Deve ritornare il sentimento che mosse Antigone a sfidare un re per dare sepoltura al fratello, poiché ciò che è giusto conta più delle leggi transitorie del potere. Itaca è cultura, trasmissione, memoria. Ci stanno espropriando del sapere di millenni. Conta solo ciò che serve a lorsignori: azionare delle macchine, digitare sulle tastiere, mettere a disposizione il nostro corpo, possedere conoscenze strumentali per una vita da utensile, in attesa di diventare rifiuti da smaltire.
Ci viene impartita un’istruzione che chiude la mente, addestra su “come si fa”, nozioni senza cultura, la rinuncia ai saperi che hanno fondato ciò che siamo, umanistici perché destinati all’uomo, ma che non servono il meccanismo del Grande Orologiaio tecnico. Un’istruita ignoranza riduce la scienza a specializzazione sempre più minuta. Esperto è uno che sa sempre più cose su sempre meno cose, fino a sapere tutto di nulla.
Dobbiamo diventare hacker, corsari e ribelli. Rimettere al centro la creatura imperfetta chiamata uomo, una scintilla divina e mille difetti, creare reti, diffondere informazione e verità. Soprattutto pronunciare dei no, esigere di conoscere tutto ciò che ci riguarda. Homo sum humani nihil a me alienum puto”. Sono un uomo, nulla di umano mi è estraneo. Estraneo, nemico è il transumano, il Golem, la tecnica autoreferenziale. Tornati ad Itaca, opponiamo al mondo tecnico e virtuale che trasforma nel totalmente Altro, il familiare universo dell’uomo reale, radicato.
Tecnopolis luccica, ma acceca. Toglie molto più di quello che dà. Non accetta opposizione e perplessità. Impone con apparente morbidezza il giogo con cui le pecore raggiungono disciplinatamente l’ovile, poi il mattatoio. E’ una pseudo religione fanatica e intollerante. Il futuro transumano è disumano. Obbliga al male, cambiandogli nome: opportunità, civiltà, progresso, emancipazione. William Shakespeare, che la tecnica seppellirà tra miliardi di file in un cloud, fa dire a Cassio: non è colpa degli astri, caro Bruto, ma di noi stessi, se restiamo schiavi.
Il pensiero comprende pienamente i fatti solo dopo che si sono prodotti, ma può presidiare le scogliere di marmo e respingere il male. L’uomo è una corda annodata fra l’animale e l’Oltreuomo, tesa sopra un abisso. La tecnica ci sta gettando in quell’abisso. Disse Zarathustra: “Il deserto cresce. Guai a chi cela deserti dentro di sé! “.
Del 21 Gennaio 2019
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