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Covid-19: l’El Dorado per i soliti noti
di
Roberto Bonuglia
Cento anni fa Richard H. Tawney ‒ nella sua più grande critica all’individualismo capitalistico [1] ‒ scrisse che acquistare, possedere e realizzare un profitto si erano ormai configurati come i sacri e inalienabili diritti dell’individuo.
Di conseguenza le norme alla base della “nostra” società plasmano ormai da un secolo «il carattere dei suoi membri: in una società industriale […] l’aspirazione a […] realizzare un profitto […] consiste nel dilatare la sfera del possesso includendovi amici, amanti, salute, viaggi, oggetti d’arte, Dio, il proprio io…» [2]. E così le “persone” diventano “cose” ‒ per dirla con Max Stirner ‒ e le “cose” diventano “idoli”. Che possono essere materiali o immateriali, ma tali rimangono sostituendo il materialismo alla trascendenza e prevaricando i valori etici, morali e religiosi.
Tutto ciò ha prodotto una massa di individui che sono meglio informati «sulla modalità dell’avere che non su quella dell’essere e ciò perché la prima è l’esperienza di gran lunga più frequente delle nostra cultura» [3]. Per questo, durante il lockdown, piuttosto che cogliere l’opportunità di riflettere su ciò che siamo ‒ e dunque sull’«essere» ‒, la maggior parte delle persone ha fatto leva, invece, sull’«avere».
Lo confermano i comportamenti individuali fatti registrare dalla maggioranza delle persone in quei mesi: l’incetta di beni alimentari con le lunghe file per riempire i carrelli della spesa di cose da mangiare a lunga scadenza [4]; la ricerca “pazzotica” delle mascherine divenute subito “introvabili” [5]; il ricorso ossessivo allo shopping online su Amazon di qualunque bene anche e soprattutto non primario; la messa in scena delle più improbabili performance creative sui “balconi” quando c’era ben poco da cantare e suonare [6]; l’impennata dei post sui social network per combattere la noia continuando ad auto-promuovere un’immagine di sé accattivante ricorrendo alla second life parallela che il web 2.0 offre [7].
Tutto questo, però, a chi ha giovato? Chi ha trovato l’El Dorado nella crisi tremenda declinatasi in senso economico, morale e politico? Ma ovviamente le élite capitalistiche internazionali, i pusher del capitalismo, i leader mondiali del buonismo radical chic che hanno fatto affari a mani basse a discapito (e grazie) ad una massa di persone «che seguono in maniera sempre più acritica e passiva ciò che viene detto o suggerito loro dai mass media, dalla scuola e dalle pubbliche autorità» [8].
D’altra parte, come scriveva Albert Einstein: «la crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato» [9]. Peccato, però, che dall’assunto generale all’applicazione dello stesso, nel caso di specie, c’è qualche precisazione che pare il caso di fare.
Il Nobel Robert Shiller ha posto l’accento su una questione interessante: «più i fondamentali economici e le previsioni peggiorano, più appaiono misteriosi i risultati del mercato azionario negli Stati Uniti» [10]. In effetti, se si rapportano l’andamento di Wall Street e l’economia reale durante la pandemia, si registra una divergenza mai vista prima.
Era dal 1975, infatti che l’indice S&P 500 ‒ costituito dalle performance delle 500 aziende più rilevanti per capitalizzazione nel mercato ‒ non guadagnava più del 17% in 4 mesi. È accaduto durante il lockdown creando una situazione senza precedenti: solo 5 aziende valgono il 20% di tutto l’indice e detengono il 21% dell’intero cash flow, cioè della liquidità.
Guarda caso, si tratta di Apple, Microsoft, Amazon, Google e Facebook. Vent’anni fa le stesse aziende pesavano il 14% dell’indice. Ora, pochi mesi di Covid-19, hanno fatto registrare vertiginosi valori di borsa in miliardi di dollari: 1.524 Apple, 1.473 Microsoft, 1.317 Amazon, 999 Apple, 671 Facebook.
Ad esse si aggiungono altre realtà tutte giovatisi delle limitazioni imposte dal Covid-19: Nexi (specializzata nei pagamenti digitali); Fineco (attiva nel trading online e nel risparmio gestito); nell’indice Nadsaq, invece, la “prima della classe” è Zoom: una piattaforma per le video-chiamate di fatto sconosciuta prima della pandemia; e poi c’è il caso della tedesca HelloFresh, attiva nella consegna a domicilio di cibi freschi: dai minimi di marzo è rimbalzata del 150% ottenendo la palma di migliore società dello Stoxx 600 Europe. Non da meno Netflix, colosso delle trasmissioni in streaming che, prima del coronavirus, era considerata una società dal futuro incerto [11] e che, invece, grazie ai domiciliari internazionali imposti a miliardi di persone è tornata «ad accarezzare i massimi borsistici pre-pandemia, nemmeno si trattasse di un outsider del settore biotech che annuncia di sperimentare un vaccino di qualche tipo» [12] in tempi di peste.
Per capire quanto queste società si siano giovate della diffusione mondiale del Covid-19 bastano tre esempi: il primo è rappresentato dalle azioni di Amazon che «nel 2006 si scambiavano a 32 dollari l’una. Tra gli analisti nessuno si scandalizzava. Anzi, la netta maggioranza di loro non consigliava di premere il bottone buy sul titolo del gruppo dell’e-commerce. […] Amazon non era consigliata dall’85% degli analisti che coprivano il titolo. Ora, […] il gioiello di Jeff Bezos balza oltre i 3.000 dollari, ovvero 95 volte il prezzo che aveva nel 2006» [13]. Il secondo caso è rappresentato da Nvidia, società di schede grafiche per pc: tre anni dopo la sua IPO del gennaio 1999 non era raccomandata da più dell’88% degli analisti: le sue azioni si scambiavano a 2,60 dollari ciascuna mentre ora valgono 393 dollari, oltre 150 volte il prezzo del 2002. Infine, va ricordato che tutti i titoli di questo settore, il 10 ottobre 2018, subirono un drastico sell-off che fece perdere ‒ in un solo giorno ‒ ai cosiddetti “Faang” (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google) percentuali tra l’8% e il 4%.
Oggi, la situazione è capovolta: nel mondo reale «la povertà, la disuguaglianza e la disoccupazione sono alle stelle» e persino il Fondo Monetario Internazionale «ha invitato gli Stati a varare pacchetti di aiuti per contrastare […] la recessione» [14]. Nel mondo finanziario, invece, i “Faang” sono entrati nell’Olimpo dei giganti azionari con oltre 1,5 trilioni di dollari di valutazione: i buy impazzano e i rialzi sono costanti toccando percentuali da “capogiro”.
Da ciò si origina un circolo vizioso: le società che grazie al Covid-19 hanno fatto cassa, ora sono le uniche in grado di vantare invidiabili riserve di liquidità da indirizzare verso prodotti che la seconda ondata pandemica renderà indispensabili per le persone che torneranno a spendere il loro tempo a casa usando il web e le altre diavolerie tecnologiche per “passare” il tempo prediligendo l’«avere» all’«essere».
Il bello è che non hanno rischiato nulla i padroni di questi colossi. E mentre Anthony Fauci consigliava agli americani di «prepararsi alle vacanze estive» perché il Covid-19 sarebbe stato velocemente vinto, i “Faang” sapevano bene, invece, che aveva ragione il virologo tedesco Hendrik Streeck quando affermava in modo sibillino che ormai «non c’è alcuna seconda o terza ondata: siamo in un’ondata permanente».
I colossi di Wall Street, quindi, giocano in anticipo sapendo cosa accadrà. Per questo vincono sempre. La strategia è quella di «raddoppiare e perfino triplicare la puntata mentre il Casinò è in fiamme» come ha ben spiegato Paul Rollert della Booth School of Business di Chicago parlando di Netflix: il colosso dello streaming è famoso a Wall Street per la sua capacità di “bruciare cassa”. Nel 2019 ha generato liquidità per 3,5 miliardi di dollari investendo, però, su nuove serie per 15 miliardi, continuando nel suo gioco pericoloso di vivere a leva.
E che tanto pericoloso non pare più ‒ e forse non è mai stato ‒ visto che tutti gli altri hanno seguito questo esempio investendo i profitti in attività che danno per scontato il deja vu di questi mesi: Facebook ha comprato sia Gojek – un’app indonesiana che offre una serie di servizi come trasporti e consegne – sia Giphy che, nel frattempo, ha investito milioni di dollari per realizzare un cavo in fibra ottica sottomarino circumnavigando l’Africa. Non da meno la Apple che ha comprato: DarkSky che sviluppa app meteo; NextVR che opera nella virtual reality; Voysis sviluppatrice di software di riconoscimento vocale; Xnor.ai, una start-up che si occupa di intelligenza artificiale. La Microsoft, dal canto suo, si è assicurata Softomotive, Affirmed Networks e Metaswitch tutte operanti nel settore del cloud e Amazon sta comprando Zoox, una start-up che si occupa di veicoli autonomi e ha già assunto 175.000 persone, guarda caso, nell’ultimo trimestre. Google sta a guardare? Nient’affatto: Google Meet è già disponibile nelle nostre G-mail e ‒ insieme all’Apple ‒ sta realizzando una piattaforma di contract tracing, la tecnologia per il tracciamento delle infezioni da “coronavirus”.
Altro che “immuni”, insomma, non scapperemo da tutto questo. Facebook, ad esempio, è attiva anche su questo fronte e sta ampliando il suo programma Disease prevention maps: un progetto che utilizza i dati di localizzazione delle app del social network già impiegato ‒ nel silenzio del mainstream ‒ in Mozambico ai tempi del colera e in Asia durante il virus zika, vere e proprie “prove generali” del Covid-19.
E se qualcuno di voi indossa un Apple Watch è bene che sappia quanto l’oggetto sia considerato un elemento essenziale in molti studi sul Covid-19: il futuristico tracciamento di cui è capace riscuote molti consensi. Altro che braccialetto elettronico: «mentre Google vuole raccogliere tutti i parametri sanitari con i dispositivi indossabili, […] la Apple […] con il suo smartwatch e la sua Research app, […] ha esplorato le potenzialità imprenditoriali aperte. Già prima della pandemia chi indossava i suoi sensori, mettendo i propri dati a disposizione di università, ospedali o istituzioni come l’OMS, poteva partecipare a grandi ricerche in campo medico, che spaziavano dalla capacità uditiva al monitoraggio del ciclo mestruale» [15]. Magari senza nemmeno saperlo.
Lo slogan della strategia aziendale a monte di questo progetto è piuttosto inquietante: «il futuro della ricerca medica sei tu». A ben guardare pare che, piuttosto, il futuro che ci aspetta è da ricercati visto che tutte le aziende stanno investendo i lauti guadagni in software e hardware per creare «mappe più precise, apparati più flessibili per assicurare il funzionamento del corpo individuale e soprattutto sociale. Nel nome della salute, quindi, il singolo si muove sempre più in luoghi tracciati, mentre i suoi dati sono misurati in tempo reale e lo stato di benessere, il battito cardiaco e il ritmo circadiano sono sottoposti a osservazione continua» [16].
Manca, a ben vedere, l’indottrinamento. Ma a quello ci pensa Netflix che si distingue, ad esempio, «da tempo per le posizioni pro-aborto prese in Georgia; nella produzione di serie controverse come The Two Papes; e soprattutto, dando un forte impulso ai contenuti LGBT: un genere “specifico” che contava già nel 2017 sulla piattaforma ben 57 diverse fiction con personaggi gay o transgender saturando in tal senso la sua programmazione» [17].
Che al Covid-19 sarebbe seguito «il Covid-20, il Covid-21 e così via…» l’avevamo già scritto [18]. Ci era però sfuggito che, almeno stavolta, potremo passarlo a sentire “Bella Ciao” piuttosto che dai nostri vicini stonati direttamente dalla colonna sonora della nuova stagione de La Casa di Carta su Netflix. Alla fine, tutto sommato, è già qualcosa.
Note:
[1] R.H. Henry, The Acquisitive Society, New York, Harcourt, Brace and Company, 1920.
[2] E. Fromm, Avere o Essere?, Milano, Mondadori, 1986, pp. 98-99.
[3] Ivi, p. 118.
[4] Cfr., I consumi durante il lockdown: dalla spesa bunker al comfort food, in «Repubblica», del 2 maggio 2020.
[5] P. Russo, Mascherine introvabili e ancora molto care: “Nessuno rispetta il prezzo calmierato”, in «La Stampa», del 6 maggio 2020.
[6] R. Bonuglia, I balconi della dittatura buonista, in «Quaderni Culturali delle Venezie» dell’Accademia Adriatica di Filosofia “Nuova Italia”, del 14 marzo 2020.
[7] F. Russo, Coronavirus, in Italia aumento l’uso dei social media del 30 per cento, in «InTime», del 31 marzo 2020.
[8] F. Lamendola, La banale semplicità del sistema che ci schiavizza, in «Quaderni Culturali delle Venezie» dell’Accademia Adriatica di Filosofia “Nuova Italia”, del 7 ottobre 2019.
[9] Cfr., A. Einstein, Mein Weltbild, Amsterdam, Querido Verlag, 1934.
[10] R. J. Shiller, Understanding the Pandemic Stock Market, in «Project Sybdacate», del 7 luglio 2020.
[11] M. Valsania, Netflix batte le attese, ma pesa la concorrenza nello streaming, in «IlSole24Ore», del 21 gennaio 2020.
[12] E. Marro, Netflix salvata dal virus: in Borsa cancella il crollo e torna in vetta, in «IlSole24Ore», del 3 aprile 2020.
[13] A. Caparello, Tre titoli best buy del decennio snobbati per anni da analisti Wall Street, in «Finanza On Line», del 7 luglio 2020.
[14] M. Jarlner, Uligheden eksploderer: Vi var hurtige til at hjælpe bankerne efter finanskrisen. Nu skal vi være lige så hurtige til at hjælpe de socialt svageste efter coronakrisen, in «Politiken», del 13 luglio 2020.
[15] A.V. Nosthoff e F. Maschewski, Wie Big Tech die Pandemie «lösen» will, in «Republik», del 9 maggio 2020.
[16] Cfr., Netflix defends packing shows with LGBT ‘representation’: ‘every gay person is very necessary’, in «Life Site», del 12 maggio 2020.
[17] Ibidem.
[18] R. Bonuglia, Se l’Occidente tramonta all’ombra del buonismo, in «Quaderni Culturali delle Venezie» dell’Accademia Adriatica di Filosofia “Nuova Italia”, del 11 marzo 2020.
Del 18 Luglio 2020
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