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La resistenza d’oro e i silenzi storiografici sul “vil denaro”
di
Roberto Bonuglia
Le recenti polemiche sorte in merito all’elenco degli Istituti della resistenza finanziati da erogazioni pubbliche «ovvero dei contribuenti italiani» [1] riattualizzano, in sede storiografica, l’annosa questione del rapporto tra il movimento partigiano e il finanziamento delle sue “azioni”.
Parlare o scrivere di vil denaro e di necessità “materiali” in una «storia immaginaria della resistenza» fatta solo di «atti ardimentosi ed eroici» [2] rimane, ad oggi, un arduo compito.
Ma l’ardore per Clio impone almeno di provarci, se non fosse per passare in rassegna qualche documento prima che scomparva dagli archivi – come il manifesto di Via Rasella [3] –, al fine di “farlo parlare” in ossequio alla lezione defeliciana, sfatando magari qualche “falso mito”.
Partiamo da un’intervista rilasciata da Luigi Longo nel 1947. In essa si originava il mito della “bella resistenza” – quella comunista, ça va sans dire – che nelle settimane successive la “liberazione” rivendicò il ruolo esclusivo nella conduzione dell’intero movimento partigiano per legittimarsi il più possibile, in senso democratico, nell’arco parlamentare della Costituente.
Longo accusava l’esecutivo italiano di non aver sufficientemente aiutato economicamente la resistenza dall’8 settembre ’43 al 25 aprile ’45: «Il Governo […] non ci mandò, durante il periodo cospirativo, che delle somme irrisorie rispetto ai bisogni». Al contempo, rivendicava la paternità comunista del sostentamento delle formazioni partigiane e lo faceva “battendo cassa”: «Se c’è qualcuno che ha intenzione di darci la differenza tra quanto le formazioni garibaldine hanno ricevuto dagli organi ufficiali del Governo italiano […] e quanto abbiamo speso per il mantenimento delle nostre formazioni, noi non abbiamo niente in contrario: destineremo la somma a pagare le pensioni alle famiglie dei caduti e dei mutilati, che il Governo non paga ancora, e a finanziare cooperative e imprese, che diano lavoro ai disoccupati» [4].
A parte la distorsione storico-politica atta a mettere in ombra le altre componenti della resistenza, l’intervista lasciava più di qualche perplessità sulla ricostruzione fornita. E che un libro curato da Renzo De Felice, poco prima di morire, metteva in luce. Si tratta di Alla guida del Clnai di Alfredo Pizzoni. Un volume dalla storia non facile perché l’autore suggeriva giudizi pesanti sulla «moralità della Resistenza, su Merzagora, peggio su Pertini» [5]. Non a caso la casa editrice, «l’Einaudi, forte del finanziamento ricevuto dal Credito Italiano – di cui Pizzoni era stato dirigente –, stampò il libro ma non lo distribuì» [6].
Renzo De Felice curatore di: "Alla guida del Clnai di Alfredo Pizzoni" un volume dalla storia non facile perché l’autore suggeriva giudizi pesanti sulla «moralità della Resistenza.
Ma chi era Pizzoni? Durante il fascismo prese nel ’33 la tessera del PNF ma nel ’45 fu insignito della Bronze Star Medal dal Generale Mark Clark, nel ’46 della Medal of Freedom dal Congresso Usa, della Legion d’Onore dalla Francia, del titolo di Cavaliere di Gran Croce dalla Repubblica Italiana. Nel ’54 ricevette la Medaglia d’oro dei benemeriti del Comune di Milano (come presidente del Comitato lombardo della Croce Rossa Italiana e non per la sua attività nella resistenza).
Ma soprattutto, è uno del quale la recente biografia è finita subito fuori catalogo [7] e che ebbe un ruolo fondamentale negli anni della resistenza: fu – come lui stesso si definì – il “perno organizzativo” tra il CLN e gli alleati per tutti i finanziamenti ricevuti dalla resistenza che Longo si era guardato bene dal ricordare nel corso dell’intervista. Di questi flussi finanziari, ad oggi, manca ancora una ricostruzione complessiva visto che lo strutturato progetto di ricerca concepito da Valerio Riva non fu realizzato a causa della sua improvvisa scomparsa nel maggio 2004.
Rimangono, però, alcuni documenti che basta leggere per rendersi conto di una verità inconfutabile: «se qualcuno non ci avesse messo i soldi […] il movimento partigiano non sarebbe neanche nato» [8]. E quei soldi che servivano per comprare la carta su cui stampare manifesti e volantini piuttosto che per pagare i partigiani o per tentare di corrompere i tedeschi in ritirata, vennero dagli alleati, in varie tranche. E non furono pochi, come vedremo.
Solo il mantenimento dei partigiani nelle montagne costava dalle 1.000 alle 1.500 lire al mese come riporta un memorandum alleato [9]. Una cifra, che un altro documento [10] specificava potesse aumentare considerevolmente a causa dell’inflazione raddoppiando o triplicando.
Non bastavano, dunque, né le donazioni volontarie delle popolazioni e dei simpatizzanti della resistenza – che pure ci furono, ma in quantità irrisoria rispetto le esigenze – né quelle degli industriali e dei benestanti che i quadri del CLN raccoglievano su base regionale. D’altra parte, il ricorso a queste tipologie di autofinanziamento non fu nemmeno perseguito seriamente poiché «rischiava […] di incidere in senso negativo sull’atteggiamento della popolazione verso la resistenza, alienandogliene irrimediabilmente le simpatie» [11] che già erano piuttosto volubili. Lo spiega bene in una missiva Giorgio Agosti nella quale scrive che i comunisti «dicono che la guerriglia rifornisce se stessa […] seleziona e produce i capi e che non occorrono ufficiali di carriera e tecnici. Non possiamo seguirli su questo punto perché tale forma di finanziamento si chiama saccheggio e equivale ad alienarci le popolazioni contadine» [12].
Ci si riferiva, dunque, a vere e proprie «requisizioni» e «tassazioni incontrollate e arbitrarie da parte di singole unità partigiane» che pure avvennero almeno fino al marzo del ’45, data nella quale fu scritto il documento in cui se ne parla e che fu però pubblicato solo nel ’72 [13].
Ecco dunque che entra in ballo Pizzoni designato alla presidenza del CLN in quanto uno degli «uomini più adatti a trattare e risolvere questo tipo di problemi» e soprattutto di «trovare uno sponsor generoso e costante che avesse la disponibilità delle somme necessarie» e di «fornire allo sponsor in questione dei validi motivi per sostenere il movimento partigiano italiano» [14].
Erano pochi, all’epoca, gli uomini che potevano vantare una profonda conoscenza degli ambienti bancari e finanziari lombardi (essenziale per organizzare il finanziamento interno della guerra partigiana) e una dimestichezza con la lingua e la cultura inglese, che favoriva i rapporti con i rappresentanti delle forze alleate [15]. Per questo Pizzoni fu incaricato di occuparsi in prima persona dei finanziamenti alleati al CLN.
La resistenza d’oro e i silenzi storiografici sul “vil denaro”?
I risultati conseguiti furono notevoli in termini economici, come conferma la documentazione relativa: dopo un primo prestito di 35 milioni elargito dal Credito Italiano Pizzoni ricorda che si ottennero già nella primavera ’44 le prime risorse dal contrabbando dei francobolli e dalla stampigliatura delle banconote: «si apponevano dei timbri che ne aumentavano il valore nominale per poi rivenderle a sostenitori della causa lucrando la differenza» [16]. Contemporaneamente Pizzoni ottenne dagli alleati una serie di pagamenti rendicontati dall’Office of Strategic Services (OSS) [17] che si aggiravano intorno ai 6 milioni da parte americana e 17 da quella inglese.
Pizzoni partì allora alla volta della Svizzera insieme al socialista Gian Battista Stucchi – che gli fu affiancato per «evitare che si facessero accordi anticomunisti» [18] – per dare continuità a tali flussi. Fu stabilita una quota mensile di 10 milioni a cui, sempre Pizzoni, chiese un ulteriore versamento di 30 milioni. Al novembre del ’44 dai rendiconti emerge che l’OSS americano di Allen Dulles consegnò 10 milioni di lire e 12.000 franchi svizzeri, mentre lo Special Operation Executive inglese di John McCaffery la somma di 15.000 franchi svizzeri [19].
Furono poi chiesti altri 100 milioni qualche settimana dopo [20] elargiti subito dagli americani [21] e dopo poco dagli inglesi [22]. Ad ottobre Pizzoni fece presente che il CLNAI avesse bisogno di 170 milioni mensili minimi: il 40% per il Piemonte e il resto per Lombardia, Liguria, Emilia e Venezie [23]. I documenti alleati confermano il successo della mediazione e la stabilizzazione dei flussi di denaro che divennero regolari [24] portando allo storico accordo del 7 dicembre ’44 col quale il CLNAI garantì di adempiere tutti gli ordini alleati in cambio di 160 milioni mensili da ricevere fino al successivo aprile, quello della liberazione [25].
Un accordo che divise i fronti della resistenza stessa: Ferruccio Parri ammise che senza di esso il CLNAI avrebbe potuto «chiudere bottega» [26], Sandro Pertini che il CLNAI si fosse «venduto per un piatto di lenticchie» vincolandosi «incondizionatamente alla condotta di guerra delle forze alleate» [27].
Il che, praticamente, collimava con quanto si denunciava a Salò: «I “puri” antifascisti, gli “apostoli” della disinteressata lotta contro la “tirannia”, i martiri della fede democratica e social-comunista si erano venduti allo straniero» [28]. L’unica differenza tra le due versioni era “sul prezzo” di tale (s)vendita. Nonostante l’inflazione, un “piatto di lenticchie” costava molto meno di quanto la resistenza ricevette.
Una verità "scomoda" e inconfutabile:«se qualcuno non ci avesse messo i soldi il movimento partigiano non sarebbe neanche nato» e quei soldi vennero dagli "alleati"!
E che in parte pare anche occultò, visto che il sistema di trasferimento dei fondi «era particolarmente delicato, perché si basava esclusivamente sulla parola dei soggetti coinvolti» [29] tanto che gli stessi alleati sospettarono come emerge da un dossier [30] che i soldi non stessero raggiungendo le formazioni partigiane e/o che fossero utilizzati per finanziare scontri tra italiani – come accadde a Porzûs, ad esempio – ai quali gli alleati non avevano nessun interesse che si verificassero.
Pizzoni, appena saputolo, andò su tutte le furie. Grazie a lui, gli alleati avevano versato ai partigiani complessivamente 961,5 milioni di lire [31]. Soldi, inoltre, giova ricordarlo, prestati poiché furono rimborsati agli alleati non dai partiti del CLN ma dal Governo italiano (cioè da tutti i contribuenti).
Dopo aver lavorato alacremente per dare al CLN tutte le risorse di cui aveva bisogno Pizzoni fu duramente attaccato e la sua direzione divenne epicentro di una serie di attacchi. Tanto che, all’indomani della liberazione, fu mandato a casa senza tanti complimenti inaugurando su di lui un’ingrata damnatio memoriae costruendo, al contempo, un’apologetica vulgata di una «resistenza profondamente radicata nella popolazione» che «non aveva bisogno di nulla per sopravvivere» poiché «il movimento partigiano aveva potuto svilupparsi non “grazie” agli alleati, ma “nonostante” gli alleati» [32]. Una ricostruzione degli eventi, quindi, volta ad esaltare «il ruolo autonomo del movimento partigiano, mentre si accennava appena agli aiuti dati agli alleati e si svalutavano l’azione delle forze angloamericane e il contributo dei militari italiani» [33].
Chi fu il regista degli attacchi a Pizzoni e di questa apologetica e romantica versione delle gesta partigiane? Ma Luigi Longo ovviamente, che – nel corso dell’intervista da cui siamo partiti – parlò non a caso di «200.000 uomini regolarmente inquadrati nelle formazioni partigiane» [34] mentre, in realtà, è noto, non superarono mai le 100.000 [35].
Note:
[1] F. Totolo, Se anche la storia diventa partigiana (a spese nostre), in «Il Primato Nazionale», a. III, n. 31, aprile 2020, p. 39.
[2] T. Piffer, L’oro della Resistenza. I rapporti finanziari tra il Cnl Alta Italia e gli alleati, in «Nuova Storia Contemporanea», a. IX, n. 4, luglio-agosto 2005, p. 95.
[3] R. Bonuglia, Via Rasella e quei 75 anni di menzogne per coprire i colpevoli, in «Il Primato Nazionale», a. III, n. 31, aprile 2020, pp. 44-47.
[4] Corsivo nostro, cfr., L. Longo, I conti dei partigiani, in «Unità», del 16 febbraio 1947.
[5] P. Simoncelli, De Felice-Saitta censurati dall’ideologia, in «Avvenire», del 22 maggio 2016.
[6] R. Bonuglia, Renzo De Felice e la persecuzione antifascista, in «Quaderni Culturali delle Venezie» dell’Accademia Adriatica di Filosofia “Nuova Italia”, del 4 maggio 2020.
[7] T. Piffer, Il banchiere della Resistenza. Alfredo Pizzoni, il protagonista cancellato della guerra di liberazione, Milano, Mondadori, 2005.
[8] T. Piffer, L’oro della Resistenza, cit., p. 66.
[9] Financing of resistence in Northern Italy, del 25 novembre 1994 in Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia (INSMLI), Fondo Pizzoni, b. 5, f. 14.
[10] Cfr. la Lettera di Giorgio Agosti, del 16 dicembre 1944 e la Relazione del commissario politico del Comando piemontese delle formazioni Giustizia e Libertà, del 31 dicembre 1994, ora in Le formazioni GL nella Resistenza. Documenti, Milano, Franco Angeli, 1985, rispettivamente pp. 244 e ss., e p. 274.
[11] T. Piffer, L’oro della Resistenza, cit., p. 67.
[12] Lettera di Giorgio Agosti a Livio Bianco, s.d. [novembre 1943], in G. Agosti e L. Bianco, Un’amicizia partigiana. Lettere 1943-1945, Torino, Albert Meynier, 1990, p. 71.
[13] Cfr., l’allegato alla Circolare del Comando generale ai comandi dipendenti del 3 aprile 1945 dal titolo: Il CLNAI per la trasformazione delle formazioni partigiane in regolari unità militari: decisione, ora in Atti del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà (Giugno 1944 – Aprile 1945), Milano, Franco Angeli, 1972, pp. 464 e ss.
[14] T. Piffer, L’oro della Resistenza, cit., p. 69.
[15] G. Corradi, La grande storia del maggiore Alfredo Pizzoni, in «Fiamma Cremisi», n. 1, del gennaio-febbraio 2018, pp. 10-11.
[16] A. Pizzoni, Alla guida del CLNAI, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 229.
[17] Cfr., il rendiconto Payments made to Central Committee – CLNAI, del 27 aprile 1945 in The National Archives of the Uk, Public Record Office (TNA-PRO), WO 204/10253A.
[18] Cfr. il verbale della riunione CLN Alta Italia del 17 marzo 1944, in Fondazione Istituto Gramsci, APC, ’43-’45, D.N., 22-3-10.
[19] Cfr. Relazione del Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia, delegazione in Svizzera, Lugano, novembre 1944, in INSMLI, CLNAI, b. 6, f. 12.
[20] Lettera di Luigi Casagrande ad Alfredo Pizzoni, del 25 luglio 1944, in INSMIL, Fondo Pizzoni, b. 5, f. 13.
[21] N.H. Petersen (ed.), From Hitler’s Doorstep. The Wartime Intelligence Reports of Allen Dulles, 1942-1945, Pennsylvania, Pennsylvania State University Press, 1996, p. 616 e Chiper tel to Berne, 26 luglio 1944, in TNA-PRO, HS 6/788, doc. 247.
[22] Chiper tel to Berne, 13 agosto 1944, in TNA-PRO, HS 6/788, doc. 234.
[23] Note sulla riunione tenuta in data 25 ottobre 1944 tra rappresentanti inglesi e del C.L.N., svolta a Lugano, in INSMLI, Fondo Pizzoni, b. 4, f. 1.
[24] Cfr la Relazione del 25 novembre 1944, in R. Cadorna, La riscossa, Rizzoli, Milano, 1948, pp. 143 e ss; Rapporto del Maggiore Churchill, in TNA-PRO, WO 204/3168; Chiper tel from Berne, 27 ottobre 1944, in TNA-PRO, HS 6/788, doc. 214; Chiper tel to Maryland, 10 novembre 1944, in TNA-PRO, HS 6/787, doc. 156.
[25] In tal senso cfr., G.E. Rusconi, Resistenza e postfascismo, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 83 e ss.
[26] F. Parri, Memoriale sull’unità della Resistenza, in «L’Astrolabio», del 20 aprile 1973.
[27] Cfr., il verbale della riunione del CLNAI del 12 gennaio 1945, in“Verso un governo del popolo”. Atti e documenti del CLNAI 1943/1946, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 223.
[28] Un eloquente documento. La verità sui cosiddetti comitati di liberazione, in «Corriere della Sera», (edizione del pomeriggio) del 4-5 aprile 1945.
[29] T. Piffer, L’oro della Resistenza, cit., p. 89.
[30] SOM, CLNAI. FINANCE, del 14 marzo 1945, in TNA-PRO, HS 6/787 e TNA-PRO, WO 204/10253A.
[31] T. Piffer, L’oro della Resistenza, cit., p. 94.
[32] Ivi, pp. 95-96.
[33] E. Aga Rossi, La politica anglo-americana verso la resistenza italiana, in L’Italia nella seconda guerra mondiale e nella resistenza, Milano, Franco Angeli, 1988, pp. 143.
[34] L. Longo, I conti dei partigiani, cit.
[35] R. De Felice, Rosso e nero, Milano, Baldini&Castoldi, 1995, pp. 45 e ss.
Del 28 Maggio 2020
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