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Hiroshima chiama Norimberga
di
Massimo Magliaro
“Mio Dio, che abbiamo fatto?”. Furono le poche parole che il copilota dell’”Enola Gay”, cap. Robert Lewis, scrisse su un foglio mentre l’aereo, invertita la rotta di morte, rientrava alla base di Tinian, sulle isole Marianne. Più o meno erano le 9 del 6 agosto 1945.
Dopo il lampo agghiacciante della prima bomba atomica, graziosamente chiamata “Ragazzino” (“Little Boy”), che aveva appena polverizzato 150mila persone, quelle parole erano il primo lampo di umanità, un barlume improvviso di resipiscenza, di tardiva consapevolezza, di raziocinio fuori tempo massimo.
Che hanno fatto gli americani 75 anni fa?
Hanno fatto qualcosa che non ha paragoni nella intera Storia dell’umanità. Quelle lanciate il 6 agosto su Hiroshima e il 9 agosto su Nagasaki non erano soltanto bombe più potenti. Erano, e restano, l’abisso sul quale ancora oggi il mondo sta danzando.
Eppure non ci sono mai stati segnali di pentimento.
Hiroshima 6 agosto 1945 inizia l'era atomica!
Pensate. Il 6 agosto viene distrutta Hiroshima. L’8 agosto a Londra americani, sovietici e britannici firmano l’accordo per costituire il Tribunale militare internazionale con lo scopo di giudicare i crimini di guerra e quelli contro la pace e contro l’umanità. Il 9 agosto viene distrutta Nagasaki. In quei due giorni (6 e 9) vengono commessi nel giro di pochissimi minuti secondi proprio tutti questi crimini. Ma nessuno dei responsabili verrà mai processato né da quello istituito a Londra né da altri Tribunali.
Il navigatore dell’”Enola Gay”, Theodore Van Kirke, è morto nel 2014 a 93 anni in una tranquilla casa di riposo in Georgia e si è vantato fino all’ultimo giorno di quel che aveva fatto.
Barack Obama nel 2016 andò a Hiroshima e fu il primo presidente americano a farlo in più di mezzo secolo. Disse: il mio predecessore Harry Truman facendo sganciare le due atomiche fece la cosa migliore, che consentì a tanti soldati americani di non morire.
Nel 2009 Obama aveva ricevuto il Premio Nobel per la Pace.
“Mio Dio, che abbiamo fatto?”. Furono le poche parole che il copilota dell’”Enola Gay”, cap. Robert Lewis, scrisse su un foglio mentre l’aereo, invertita la rotta di morte, rientrava alla base di Tinian, sulle isole Marianne.
Anni fa il Pew Research Center fece un sondaggio per conoscere il giudizio dei cittadini americani su queste stragi: il 56% ne condivideva le cosiddette motivazioni politiche e “morali”. Il 79% dei giapponesi ovviamente le condannava.
Nel vasto hangar del Centro Stevens F. Udvar-Hazy all’aeroporto Washington-Dulles, a poche miglia dalla capitale federale, c’è la “pistola fumante” del delitto, l’”Enola Gay”. Venerato come una reliquia. La presentazione sulla relativa targa è questa: “Il 6 agosto 1945, questo B-29-45-MO costruito da Martin ha lanciato la sua prima arma atomica utilizzata nel combattimento su Hiroshima, Giappone”.
Punto.
Combattimento? Contro chi?
E i morti?
E le distruzioni? Nulla.
Allorchè, anni fa, la mostra venne organizzata da un’altra parte, allo Smthsonian National Air and Space Museum, ci fu addirittura chi la criticò perché avrebbe fatto passare i giapponesi “per vittime anziché per aggressori”. Si chiamava John Correl ed era il segretario dell’Air Force Association.
Ma i bombardamenti strategici non sono stati un’invenzione americana. Vennero teorizzati dal britannico Sir Hugh Trenchard, il quale sosteneva che in una guerra moderna è una idea buona e giusta colpire non solo gli obiettivi militari e industriali più importanti ma anche quelli civili più sensibili per fiaccare il sistema produttivo e difensivo di un Paese e per annientare ogni resistenza popolare.
Eppure, dopo il secondo lampo atomico su Nagasaki, gli americani dovettero attendere altri 24 giorni per assistere alla resa del Giappone. Non erano bastate 68 città rase al suolo dai bombardieri a stelle e strisce che partivano dalle basi nel Pacifico né le due bombe atomiche.
75 anni fa è finita una guerra come tutte le guerre: ci sono stati crimini di serie A e crimini di serie B, bombe buone e bombe cattive, ma i morti polverizzati nell’orrore di Hiroshima e Nagasaki continuano a pretendere giustizia!
La Seconda Guerra mondiale da quelle parti era cominciata otto anni prima, nel 1937, con l’invasione giapponese della Cina.
Ma l’impunità non si limita alle due stragi atomiche. C’è molto altro.
Gorla è un borgo alla periferia di Milano. Alle 11,40 circa del 20 ottobre 1944 una squadriglia americana guidata dal col. James B. Knapp mitragliò 184 bambini che uscivano da scuola e i loro insegnanti. Knapp venne promosso generale e nell’archivio dello Usa Air Force la sua scheda professionale dice che durante la guerra ha compiuto, in Italia, 43 missioni da combattimento. La strage di Gorla evidentemente è una di queste. Knapp è morto da generale nel suo letto nel 1999. Non si è mai pentito.
Ci sono le bombe al Napalm sugli Appennini generosamente lanciato insieme alle sigarette e alla cioccolata.
Quando venne varato il Tribunale di Norimberga era già noto a Roosevelt e a Churchill il massacro sovietico di 22mila soldati polacchi a Katyn. Sin dal 1943 Radio Berlino ne aveva dato notizia al mondo. Non ci poteva essere chi “non sapeva”.
La firma della resa del Giappone
Erano noti i “gulag”. Dal 1930 Stalin aveva organizzato i “campi di lavoro correttivo” e i morti non si contavano più.
75 anni fa è finita una guerra, atroce come tutte le guerre. Ci sono stati crimini di serie a) e crimini di serie b), bombe buone e bombe cattive, vittime da ricordare e vittime da ignorare, processi celebrati e processi mai fatti.
Ma i morti polverizzati, bruciati, dissolti, vaporizzati, squagliati nell’orrore di Hiroshima e Nagasaki continuano a pretendere giustizia e a guardare le nostre coscienze.
Del 20 Luglio 2020
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